Intervista a Marco Nastasia – Dolci Advertising

Nato su una spiaggia salentina, si dedica fin da giovanissimo alla scrittura: a cinque anni edita il saggio “Sono terrone e me ne vanto”, in cui spiega la necessità di una federazione politica mediterranea. Compie gli studi presso il locale liceo classico dove viene ripetutamente umiliato dalla pronuncia sbagliata del suo cognome. È in quel momento che decide di diventare copywriter e di distruggere la sintassi italiana a colpi di spot. Oggi è pubblicitario in Dolci Advertising e lavora tra le due città che più rispecchiano il suo amore per il mare: Torino e Milano.

Marco, cosa è la comunicazione?

Come dire, una domanda semplice semplice per rompere il ghiaccio… Beh ti rispondo con una delle prime cose che ho imparato quando ho cominciato a studiare. Ero a Laboratoriominiera, il progetto di formazione di quel folle, visionario, sognatore che è Luis Ciccognani. E lui ci fece l’esempio degli antichi mercanti orientali: se il mercante chiedeva un prezzo, il “cliente” non avrebbe mai accettato di pagare senza contrattare e il mercante non avrebbe venduto. Dalla preistoria ad oggi, il punto è l’archetipo della relazione. Per mercante e cliente la Relazione è altrettanto importante che il denaro e le merci. A maggior ragione oggi, la comunicazione non è più una tela bianca da riempire. I brand che stanno facendo la storia dell’advertising, sono quelli che hanno sviluppato un “sistema di pubblicazione” all’interno del quale lo scambio ha un valore sia per la marca che per le persone. I social network sembrano aver riportato in vita l’economia del dono, così diffusa nelle società arcaiche e ben illustrata da Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono.

Quando pensi che ci si trovi davanti ad una buona comunicazione pubblicitaria?

La cosa più bella che possa accadere è quando la comunicazione riesce a rendere il mondo un posto migliore. Sembra un’esagerazione utopistica, ma voglio citarti tre storie che mostro sempre ai miei studenti quando ho il privilegio e la fortuna di fare formazione e che ogni volta mi fanno venire la pelle d’oca. La prima è il caso della Troy Library (http://www.youtube.com/watch?v=UeOmgyWsksc) in cui un gruppo di creativi è riuscito a salvare una biblioteca praticamente a budget zero. La seconda è la campagna “My Blood is Red & Black” in cui il palcoscenico del calcio viene usato per sensibilizzare sul tema della donazione del sangue (http://www.youtube.com/watch?v=EAxkcRjoQqg). E la terza è straordinaria: una campagna commerciale per una compagnia assicurativa che riesce probabilmente a salvare delle vite umane, tra l’altro con grande leggerezza e ironia (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=geqVNjEauoU).

Quale è il progetto che ti ha dato maggiore soddisfazione nel campo pubblicitario?

Sono due in particolare. Il primo è un progetto digital per Saila ideato da tutto il reparto creativo Dolci Advertising. Siamo partiti da un insight molto semplice: basta guardarsi intorno per capire come spesso lo stress ricopra le nostre città con una coltre di pesantezza a volte insopportabile. Ma il buon umore è sempre a portata di mano, basta combattere i nemici della freschezza. È nato così il progetto “Fight the Fresh Enemies” in cui sette personaggi cattivi rappresentavano gli archetipi di altrettanti mali moderni. Gli Stizzipazzi, I Barbalunghi, le Muffeblatte formavano una carrellata varioponta di macchiette che incontriamo ogni giorno per strada e che minacciano la nostra “freschezza” di spirito.

Il secondo è un progetto che avevamo presentato in maniera indipendente con due cari amici per Pubblicità Progresso. Credo che non andrà mai on-air visto che sono passati due anni dalla presentazione, per cui penso di poterlo raccontare. Il brief era molto semplice e forse un po’ vago: ricordare alle persone l’importanza del dono. Usando la psicologia inversa, ci siamo immaginati un mondo in cui anche gli atti di spontanea generosità venissero “monetizzati”. Un gruppo di attori andava in giro aiutando la gente nelle piccole disavventure di tutti i giorni, salvo poi chiedere un compenso in denaro: il risultato era decisamente esilarante e le “vittime” erano poi molto colpite nel ricevere il messaggio che svelava il trucco.

In America, dove la pubblicità è l’1% del PIL, i pubblicitari più talentuosi vincono premi come i Clio. In Italia esiste qualcosa di simile?

Ci sono gli ADCI Awards con una giuria rispettabile e un buon livello di creatività. Ma in generale è sempre meglio non pensare la comunicazione in termini di confini nazionali. Sono appena tornato dagli Andy Awards di Londra e le cose più belle che ho visto arrivano da paesi come il Brasile e l’Argentina; in generale, tutta l’area latinoamericana si sta rivelando un incredibile laboratorio creativo.

Il mercato pubblicitario tv, dove si registrano i maggiori investimenti, è in calo. Come le agenzie affrontano la sfida delle nuove tecnologie? 

Più che altro, bisogna ribaltare totalmente il punto di vista. Le nuove tecnologie non sono una sfida, fanno semplicemente parte del mondo in cui viviamo. A nessuno di noi verrebbe in mente di dire, toh guarda, c’è un oggetto che fa luce, semplicemente accendiamo la lampadina. Per i nativi digitali è così. Non dicono, toh andiamo on-line, semplicemente ci sono dentro. Come ha detto Paul Adams, Global Head of Brand Design di Facebook, “Questo non è un mulo”, parafrasando l’errore cognitivo di chi, agli inizi del secolo scorso, vedeva per la prima volta un’auto.

Puoi lasciare un consiglio a chi vorrebbe entrare nel mondo della comunicazione pubblicitaria?

Si,  due. 1. Questo lavoro ha bisogno di onnivori: andate a teatro, al cinema, alle mostre, parlate con la gente senza peli sulla lingua, uscite dagli uffici, approfondite, siate curiosi e affamati. 2. Anche se vi trovate a vendere caramelle o detersivi, provate a riattivare l’archetipo della relazione: fino a pochi secoli fa, le merci portavano scambio e cultura, chi ha detto che non possa essere così anche oggi?

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