Stage in Comunicazione, tra rimborsi e onestà intellettuale

STAGELo stage è, per definizione, un periodo limitato (e mi raccomando, limitato) entro il quale lo stagista è tenuto a offrire le sue prestazioni all’azienda senza ottenere alcuna retribuzione in cambio, se non un piccolo rimborso spese, nel rispetto di tutte le regole minime assicurative e di welfare. Infatti adesso una nuova regolamentazione rispetto agli stage svolti al di fuori del percorso formativo, stabilisce che ci siano dei rimborsi minimi garantiti per gli stagisti, che vanno da 300 a 600 euro mensili e variano regionalmente.

Retribuzione a parte, esiste tuttavia un altro importante elemento da valutare, spesso trascurato da aziende e lavoratori: il valore formativo dello stage. Infatti è indispensabile che lo stagista venga formato sulle modalità e sui contenuti relativi alla sua posizione, nella forma del training on the job. Nel caso specifico in cui invece si svolga uno stage nell’ambito di un master o di un corso a pagamento, non è prevista dalla legge (ma lo sarebbe dal buon senso) alcuna ricompensa. Esiste un’ampia casistica di ragazzi con diverse esperienze più o meno negative a proposito di tirocinio: con alcune interviste, speriamo di aprirvi gli occhi sulle più frequenti aberrazioni.

Martina M. 25 anni, laureata in Comunicazione e Marketing:

”Durante il mio percorso di laurea ho svolto uno stage curriculare per il conseguimento di crediti formativi. Sono stata inviata direttamente dall’università in un’azienda per un periodo di tre mesi che poi ho deciso di prolungare a sei. L’esperienza, anche se a titolo gratuito, è stata positiva in quanto sono stata formata e seguita tanto che, nell’ultimo periodo, ero perfettamente autonoma. Terminato lo stage ho portato a termine anche gli studi e, a distanza di qualche mese, sono stata richiamata dalla stessa azienda che mi ha assunta in apprendistato”.

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In effetti, lo stage dovrebbe essere finalizzato all’assunzione, ma non sempre accade questo. Ecco il caso di Nicola G., 31 anni, laureato in Editoria e Giornalismo:

”Durante e dopo la laurea lavoravo come commesso ma intanto cercavo di inserirmi anche nel mio campo professionale. Con uno stage non retribuito sono entrato in una redazione giornalistica per il periodo di sei mesi. Il lavoro mi piaceva, mi sono inserito bene e mi veniva fatto credere che ci sarebbe stato un domani, così mi sono licenziato dal mio vecchio lavoro per dedicare al giornalismo maggiore energia. Mi è stata anche rinnovata la proposta di proseguire lo stage per altri sei mesi, e ho accettato, pensando che poi sarebbero stati costretti a tenermi. Ma così non è stato: dopo un anno è stato preso un altro stagista e io mi sono ritrovato senza lavoro”.
Non accettate mai di prolungare uno stage alle stesse condizioni; ci deve sempre essere una crescita riconosciuta dal datore di lavoro anche attraverso un adeguamento delle condizioni di lavoro. Infine, attenti anche ai colloqui tendenziosi:

Luca, 28 anni, ingegnere delle Telecomunicazioni:

”Sono stato convocato per un colloquio di lavoro dopo aver risposto a un annuncio on-line dove si parlava di assunzione. Nell’intervista mi hanno chiesto molti dettagli tecnici e ho svolto anche un case study. Alla fine dei vari step di colloquio, mi hanno detto di essere stato preso in azienda per uno stage non retribuito, a tempo pieno, della durata di sei mesi. Ho rifiutato, ma non capisco ancora perché, se cercavano uno stagista senza esperienza, mi abbiano fatto tutte quelle domande”.

 

Molti indicatori di stage non perfettamente in linea con l’onestà intellettuale si palesano già dal colloquio: se vi candidate come stagisti, non dovete preoccuparvi del vostro background, l’unico vero requisito richiesto dovrebbe essere la voglia d’imparare. Se vi fanno troppe domande, diffidate.

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