#IJF16 Festival del Giornalismo di Perugia – Reportage

ijf16_00A Perugia in questi giorni il giornalismo si respira perfino nell’aria. Lo si legge sul bage dei volontari del Festival in giro per il centro, negli occhi dei giornalisti che gli hanno dedicato la vita, nei sogni degli studenti ubriachi di progetti.

Lo si vede per le vie di Perugia, segnate dai cartelloni che indicano le sale degli incontri e dalle troupe dei canali all news accampate nei dintorni del “quartiere generale” (l’Hotel Brufani), pronti a dare copertura mediatica dell’evento. La decima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo ha riunito ancora una volta professionisti ed esperti da tutto il mondo. Io vengo da vicino, Roma, ma c’è chi arriva da Stati Uniti, Germania, India.

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Cosa li ha portati qui? La passione, la voglia di capire, di far parte del cambiamento che qui si fa vivo, di entrare nel mondo che tutti cercano di raccontare. Io sono partita per questo. Sapevo che avrei potuto seguire il Festival in streaming, leggerne sul web, ma non sarebbe stato mai come essere qui. L’avevo intuito l’anno scorso quando ero venuta per una sola giornata e ne ho avuto la conferma oggi: un solo panel vale un intero corso universitario.

È tutto così intenso, amplificato, tutto spinto all’ennesima potenza, grazie proprio alla potenza degli speakers. Giovedì scorso ho ascoltato discutere in diversi incontri Marc Lavalee (New York Times), Megan Lucero (data journalism editor The Times), Dan Gillmor (Walter Cronkite J-School), Mathew Ingram (Fortune Magazine), Anna Masera (Public editor La Stampa) e Amalia De Simone (Corriere.it), ma tanti altri nomi autorevoli sono intervenuti. Ho assistito al panel sul “Distruptive storytelling”, con esempi di narrazioni che hanno rotto con il passato, a quello sull’obiettività nel giornalismo, ad uno che spiegava come fare giornalismo d’inchiesta in Italia. In ultimo, quasi per caso sono capitata a “Turchia: crisi dei media e della democrazia”. Il giornalista turco Kadrid Gursel ha raccontato di come ha perso il lavoro per un tweet contrario ad Erdogan e di come stiano cercando di uccidere il giornalismo in Turchia. Il bello del Festival è che ti porta dentro ai fatti, lasciando parlare le persone. Guardare negli occhi chi in quel giorno ha ricevuto minacce di morte significa avere davanti fisicamente la storia, la realtà e l’effetto si sente subito. Un lungo e forte applauso di solidarietà ai giornalisti della Turchia ha commosso la sala al termine dell’incontro.

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Ieri, in preda a una euforia giornalistica, a una sorta di febbre da Festival, ho seguito nove incontri. Andrew De Vigal (giornalista, insegnante università Oregon) ed altri esperti hanno discusso di engagement e giornalismo, si è parlato, poi, di giornalismo partecipativo e, ancora dopo, del futuro di Twitter con Mark Little, vicepresidente media Europa-Africa Twitter.

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Il celebre giornalista iraniano Hossein Derakhshan ha espresso in un panel il suo punto di vista sul giornalismo nell’era post web. Prima il giornalismo su Internet era “un atto dell’intelletto – ha affermato – mentre oggi è intrattenimento, è simile alla televisione”. Di giornalismo che cambia o dovrebbe cambiare la storia hanno discusso, invece, Domenico Quirico (La Stampa), Richard Coulebourn (BBC News) e Christopher Stokes, direttore generale MSF). Mario Calabresi, direttore de “La Repubblica”, ha affrontato il discorso dell’explanatory journalism con l’ex portavoce di Obama (attualmente ad Amazon) Jay Carney, toccando anche temi di politica americana. Discorsi importanti, certo, ma non sconvolgenti quanto la vita vera che ti si para davanti improvvisamente. È accaduto ieri alle 18, durante l’incontro con Karim Franceschi, unico italiano ad aver combattuto l’Isis a Kobane accanto ai curdi. Una Sala dei Notari affollatissima e muta ha ascoltato nel silenzio la sua testimonianza della guerra. Era partito con l’idea di dare una mano logistica, ma dopo soli quattro giorni di addestramento è arrivato sul fronte a combattere. Aveva anche scritto una lettera prima di partire, nel caso non fosse tornato. Invece, nonostante tanti amici caduti, lui è riuscito a fare rientro in Italia, salvo per fortuna, non pentito della sua scelta, anzi, pronto ancora a spendersi “per la libertà e la democrazia”. Dopo una fila chilometrica e un’attesa estenuante, ho chiuso la giornata con Gazebo Live e una divertente lezione di storytelling dalla banda della tarda serata di Rai Tre.

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Oggi l’offerta del Festival non è stata da meno. Protagonista del primo panel della giornata è stato il racconto dl conflitto israelo-palestinese. Passando a tutt’altro argomento, ho seguito un incontro sulla comunicazione aziendale e il giornalismo. Marco Bardazzi della comunicazione esterna di Eni, Barbara Sgarzi e Andrea Vianello, ex direttore di Rai Tre, hanno affrontato la questione partendo dal caso Eni vs Report. Dall’Italia mi sono proiettata poi di nuovo all’estero per capire in che modo la tv possa contribuire a raccontare la crisi dei rifugiati con Corrado Formigli (Piazza Pulita LA7), Francesca Paci (La Stampa) e Barbara Serra (Al Jazeera English). Il mio festival si è concluso con il fascino e la professionalità di Franca Leosini, intervistata da Antonio Sofi, a cui ha spiegato come costruisce le sue storie. “Cerco sempre i sentimenti, cerco sempre di capire. Incontro le persone una volta per rubargli l’anima, per poi restituirgliela”. Domani arriveranno Enrico Mentana, Giuseppe Cruciani e tanti altri. In quale altro posto del mondo e chi sarebbe in grado di mettere insieme tutte queste personalità importanti da tutto il mondo in così poco tempo? Solo al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

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