Quante bufale abbiamo in questi anni letto sui social, sui blog, persino sulle testate più accreditate?
Il processo di creazione di una notizia è talmente libero e poco scrupoloso che si rischia davvero la faccia a pubblicare qualcosa che non sia comprovato dai fatti ma che, magari, genera accessi. La reputazione che si va a perdere non è tanto quella dell’autore del pezzo, che nella maggior parte dei casi rimane celato con “La Redazione” o formule similari, quanto quella della testata, del marchio.
I social, che magari hanno ribattuto una notizia sensazionale, diventano poi il tribunale dell’errore giornalistico (una volta scoperto) e anche quando, come succede, la notizia in questione venga rimossa, la eco del newsmistake continua a propagarsi. Internet e gli internauti non perdonano.
Per ovviare al malcostume delle notizie-sensazionali-senza-fondamenti è stato lanciato negli Usa il Trust Project. Il saggio che lo presenta ufficialmente è firmato da Richard Gingras, direttore per le news e i social di Google e Sally Lehrman, docente di etica del giornalismo all’Università di Santa Clara.
Nello scritto e nel progetto che seguirà è spiegato come per recuperare il rapporto di fiducia tra utenti e le testate giornalistiche più o meno “tradizionali” bisognerà non solo rendere esplicito il nome dell’autore (non sempre è così) quanto il metodo di raccolta delle fonti, i vari livelli di controllo di chi ha “passato” la notizia, l’identità di tutti coloro che fanno parte della catena di newsmaking.
Si tratterebbe quindi di un articolo che ricorda, nella formula, lo stile Wikipedia. I dati riportati aiuterebbero il lettore a considerare più o meno credibile un articolo, un reportage e, di conseguenza, di una testata. A proposito. Ecco il Link Esterno del progetto e della ricerca