Hotel Transylvania 2: chi sono i veri mostri? – Il mondo si interroga da millenni sulla questione bene VS male, sulla tendenza umana a dividere la popolazione in categorie per gestire le proprie relazioni e, in un certo senso, per proteggersi; Hotel Transylvania 2 certamente non può pretendere di risolvere un problema così datato, ma se dovessi pensare a un modo per parlare ai bambini. o comunque in modo leggero, di tali problematiche, credo che quello trovato da Genndy Tartakovsky (il regista) sarebbe quello più vicino alla risposta ideale.
L’Hotel Transylvania nasce come luogo dove proteggere i “mostri” dal genere umano, reo di aver ucciso la moglie del conte Dracula: da qui il capovolgimento iniziale dei ruoli.
Ma questo era solo il primo film; in questa seconda pellicola i due generi, umano e “mostrico”, come dicono spesso i protagonisti, sono già perfettamente mescolati, grazie al matrimonio di Mavis, figlia di Dracula, con Johnny, un umano appunto. Li vediamo sposarsi, in una toccante cerimonia in cui si manifestano tutte le emozioni di un padre che vede la sua figlia ormai cresciuta, ma in fondo restare sempre “la sua bambina”; poi li vediamo metter su famiglia e dare alla luce il piccolo Dennis… o Dennisovich? Questo il nome alla “mostrica”, con cui lo chiama il nonno, palesando il suo desiderio che il nipotino manifesti i tratti dei vampiri, proseguendo la sua stirpe.
Il film vede, quindi, la continua tensione fra le aspettative e i desideri che si riversano sul bimbo dai lati delle sue due famiglie e dei due generi cui appartiene; in una visione più positiva, potremmo dire che la tensione rappresenta un modo per far convivere queste due parti, e solo alla fine scopriremo le sorti di questa lotta e del piccolo Dennis: gli spunteranno le fatidiche zanne da vampiro? Riuscirà a restare all’hotel con i mostri, o la madre lo porterà in Caifornia fra gli umani? Riusciranno gli umani ad entrare non solo nell’hotel, ma anche nel cuore del conte Drac (e della sua famiaglia)?
Toccanti sono i punti in cui emerge il disagio di Dennis stesso, che si ritrova a vivere quella condizione che accomuna molti di noi, almeno una volta nella vita probabilmente: il sentirsi diverso, non normale, il non sapere a quale mondo appartenere. Ma, come accade spesso per molti di noi, ci sarà un evento (una “amicizia”…?) scatenante a dare l’avvio al processo di maturazione e consapevolezza della propria identità.
Ok, forse è un discorso un po’ da grandi, e il piccolo Dennis, come tutti i bambini in sala, non ne comprende la portata; forse gli spettatori più piccoli non coglieranno neanche la sottile ironia/condanna alle tendenze delle generazioni contemporanee, dipendenti da smartphone e selfie al punto da annullare emozioni viscerali e naturali come la tradizionale paura; forse non capiranno a fondo i riferimenti, resi anche in modo divertente, ai fenomeni di bullismo e derisione che sono oggi tanto frequenti.
Una cosa è certa: è un vero peccato poter solo immaginare cosa passerà nelle loro teste e non aver visto questo film da bambina!